La moderazione per non fare la fine dell’Australia…

È facile incontrare in un articolo o su un sito la parola ‘alcol-dipendenza’ come condizione acclarata di abuso reiterato di alcol con compromissione della salute psichica e fisica del paziente. Una condizione attribuita a una molteplicità di manifestazioni e comportamenti spesso gettata lì come condizione normale per chi beve troppo. E utilizzata con disinvoltura anche per caratterizzare episodi di consumo eccedentario, specie in ambito giovanile, che però non sono espressivi dell’alcol-dipendenza. Le cose insomma non sono mai semplici. Un articolo recente del Guardian (https://www.theguardian.com/commentisfree/2021/nov/21/am-i-an-alcoholic-the-blurred-line-between-a-daily-drink-and-a-drinking-problem), riporta una storia clinica raccontata dallo psichiatra australiano Xavier Mulenga centrata su una diagnosi di alcol-dipendenza di una giovane donna trentacinquenne che si è rivolta al medico su istanza del fidanzato convinto, (lui non lei) che la donna abbia un problema con l’alcol. Si apprende così che lei consuma abitualmente fino ad una bottiglia di vino al giorno. La donna accetta di essere consigliata solo su insistenza del partner, ma non manifesta alcun sospetto che il suo bere sia dichiaratamente problematico. L’accurata anamnesi del dott. Mulenga evidenzia però segni inconfondibili di degrado precoce come buchi di memoria, irritabilità, difficoltà a gestire le relazioni sociali e crescente mancanza di concentrazione sul lavoro oltre ad una precoce alterazione del fegato. La storia non ha un lieto fine. La paziente del dottor Mulenga non ha riconosciuto l’urgenza del suo problema e sappiamo solo che ha cominciato a disertare gli appuntamenti di counselling.

Tutto ciò ci ricorda che l’individuazione precisa del profilo di un bevitore problematico non dipende né dalla percezione soggettiva né dal rimprovero sociale che spesso contraddistingue una persona in difficoltà nella gestione di sostanze. Per molti l’itinerario che va dal comportamento “normale” a quello “problematico”, soprattutto per abitudini socialmente accettate come il bere, è intriso di ambiguità e false certezze, ma anche di isolamento e mancanza di empatia. Riconoscere precocemente il bere disordinato si può con test validati e affidati ai medici di primo contatto, come l’AUDIT. Da qui, come argomenta bene Mulenga, prendono le mosse percorsi di accompagnamento alla riduzione o cessazione del bere. Essere aiutati a guardare dentro se stessi è sempre l’inizio di un punto di svolta. Con la consapevolezza arriva anche l’apprendimento: gestire il bere o rinunciarvi sono punti di approdo che dovrebbero essere alla portata di tutti, giovanissimi, adulti e persone in età avanzata. L’Australia di cui ci parla l’articolo del Guardian sembra irrimediabilmente funestata da un’epidemia di dipendenza alcolica. L’Italia che noi conosciamo no. Se si vuole evitare che il modello del bere mediterraneo si corroda e slitti verso un consumo incontrollato serve certo il rafforzamento delle strutture di presa in carico precoce dell’alcol-dipendenza, ma non si trascuri il valore educativo del contesto familiare e del consumo moderato. Qualcuno non lo vuole vedere. Ma esiste.