Vendite IN RETE e home delivery durante il lockdown

Complice la segregazione in casa e la chiusura dei locali, la pandemia ha in ultima analisi favorito o contrastato il consumo di bevande alcoliche? La domanda è doverosa. Nel gigantesco esperimento sociale involontario innescato dall’emergenza sanitaria è utile approfondire le dinamiche comportamentali che possono essere stata influenzate dalla condizioni inedite in cui le persone si sono trovate. L’alcol non fa eccezione. Autorevoli commentatori hanno già posto il problema ed è in atto un’indagine che ci dirà di più.

In tale frangente, colpisce leggere nelle conclusioni del rapporto ISTISAN 2020/7 (Epidemiologia e monitoraggio alcol-correlato in Italia e nelle Regioni) che rianalizza e integra la sorveglianza annuale sui consumi di alcol in Italia affidata alla indagine Multiscopo dell’ISTAT, la seguente affermazione: “…un’abitudine che ha fatto registrare un aumento significativo è stato sicuramente il consumo di bevande alcoliche che, pur nella drastica riduzione legata alla chiusura di bar, ristoranti e riti della movida alcolica e dello sballo, ha fatto registrare nei canali di vendita online e di home delivery incrementi percentuali a tre cifre in tutto il mondo (+180-250%), assicurando sin dall’inizio della pandemia un accaparramento di quantità ovviamente inusuali di alcolici acquistati nella grande distribuzione, ma anche e soprattutto di grandi quantità consegnate direttamente nelle case degli italiani, incrementando verosimilmente l’esposizione a consumi dannosi e rischiosi di alcol…” (p. 62).

Al di là delle molte percentuali che girano con range molto ampi, proprio le indagini di settore che combinando dati sulle merceologie e sui canali di acquisto, dicono che la home delivery di bottiglie di vino (più 100% con incrementi della frequenza di acquisto del 10% su alcune piattaforme) non va sopravvalutata. Per qualità, dimensioni di acquisto e prezzo (quest’ultimo piuttosto selettivo) tocca categorie minoritarie e nicchie di consumatori. Inoltre questi canali sono per lo più appannaggio di una clientela urbana, sperimentale e assuefatta all’acquisto in rete. Certo la moda c’è stata e anche il passaparola. Tuttavia non si può affermare che l’on line sia l’origine di una deriva pan-alcolica incontrollata e inedita.  Vedere una transizione allarmante dal fuori casa all’aperitivo intra moenia il segnale di una impennata dell’abuso (ah, incidentalmente le vendite di alcolici nel fuori casa sono crollate e certo non compensate dall’aumento contenuto delle vendite in GDO…) non è inferenza autorizzata dai fatti.

E poi in regime di chiusura di pub, ristoranti e locali vari siamo stati nella perfetta attuazione della politica dei best buys dell’OMS. Dobbiamo concludere che l’OMS aveva torto?